Gigliese - Ecotipo gigliese

Studio della formazione di un ecotipo gigliese

Studio della formazione di un ecotipo umano sull'Isola del Giglio.

 

 

Demografia storica.

 

 

Tramite le registrazioni dei battesimi, delle sepolture e dei matrimoni che iniziano nell'Archivio Parrocchiale[1] solo dal 1622 e le numerosissime opere agricole che hanno trasformato in vigne, orti, campi e pascoli il territorio selvatico dell'isola, i gigliesi raccontano in prima persona la loro storia e la loro tormentata, ma vincente lotta per la sopravvivenza. 

Un documento[2] ufficiale del 1678, riguardante la distribuzione di saggina e di miglio alla popolazione, da parte del Granduca, ha permesso la determinazione della struttura per età della popolazione presente. 

All'inizio del 1800, 250 anni dopo l'invasione del Barbarossa, la popolazione dei gigliesi, vissuta praticamente isolata per un flusso migratorio trascurabile, raggiunse un ammontare di circa 1200 abitanti. 

Una popolazione ha varie caratteristiche di gruppo quali il tipo di accrescimento, la densità espressa come numero di individui per unità di habitat (area a disposizione per la colonizzazione), la natalità, la mortalità e la distribuzione per età. 

La longevità ecologica viene qui espressa come l'età a cui si verifica il maggiore numero di decessi, escludendo la mortalità infantile[3] (dove cade il massimo delle morti di questo periodo).  

Il grafico in Fig.1 mostra la curva d'accrescimento della popolazione dal 1558 al 1842. I dati censiti sono stati tratti da documenti e da testi riguardanti la storia dell'isola, quelli stimati sono stati invece ottenuti con metodi statistici dalle registrazioni delle sepolture e dei battesimi.


 
Fig. 1


Se si fa la media delle età di morte relative ad un certo periodo, applicando la nota formula:

 

 

 

 

 

(dove ei rappresenta l'età di morte e fi il loro numero o frequenza), il valore attenuto può essere assunto come vita media nell'intervallo di tempo considerato. Volendo stimare la popolazione in un dato annoi basta sommare tutti i nati dall'annoi-età media all'annoi.

 

I nati prima dell'annoi-età media sono da ritenersi statisticamente deceduti.

 

C'è solo uno scarto di ± 24 abitanti tra i valori censiti e quelli stimati (il valore calcolato del 1678 praticamente coincide con il censito). Le età medie nei tre periodi considerati (v. Fig.1) sono basse perché il "peso" della mortalità infantile, come si vedrà in seguito, è rilevante. La curva in Fig.2 è stata tracciata considerando i soli valori stimati senza immigrazione.

 

 

 

 

 

Fig. 2

 

 

 

 

Le due rette rappresentano il trend negli intervalli 1650-1795 e 1815-1840 e i loro coefficienti angolari (inclinazioni) le velocità medie di accrescimento della popolazione.  

Da una più attenta analisi della curva in Fig.2 si nota che questa è formata da tratti a forma di S. Nel riquadro di colore rosso è stata isolata una di queste curve sigmoidi che è tipica di quelle popolazioni isolate il cui sviluppo è limitato da fattori biotici. La crescita raggiunge un massimo a metà della curva e poi rallenta fino a fermarsi del tutto o con piccole oscillazioni negative e positive. 

In questi periodi di stasi gli isolani si devono essere dati da fare per sfruttare maggiormente le risorse disponibili, disboscando e preparando nuovi appezzamenti di territorio da coltivare[4], dedicandosi alla pesca e all'allevamento del bestiame e anche ricorrendo nelle stagioni avverse alla benevolenza del Granduca. Una volta raggiunto un più alto livello di organizzazione lo sviluppo riprende, ma nel 1795 allorché gli abitanti diventarono circa 1200, si verificò un drastico arresto della crescita e la popolazione scese a 900 unità in soli 15 anni.  

Questo tracollo, noto in ecologia come "tracimazione", si verifica quando la quantità di cibo necessaria per il mantenimento di una data popolazione (capacità portante) uguaglia il massimo delle risorse disponibili.  

In tali condizioni limite qualsiasi perturbazione esterna come una siccità che possa ridurre il prodotto da raccogliere persino in un solo anno porterebbe alla malnutrizione o al digiuno un gran numero di individui esponendoli di conseguenza all'attacco di malattie. 

Questo e ciò che accadde al Giglio verso la fine del 1700.  

Nel maggio del 1794 il parroco Girolamo Mai in una supplica al Granduca sollecita l'inizio della costruzione della nuova chiesa del Porto, progettata dall'ingegner Boldrini già dal 1788, per dare una opportunità di lavoro agli isolani che a causa della siccità si erano ridotti a mangiare "erbe cotte nella pura acqua senza olio e senza sale".  

Francesco Dini, Provveditore dell'Ufficio dei Fossi di Grosseto, chiamato in causa, conferma lo stato di estrema indigenza in cui versa la popolazione dell'isola e appoggia la richiesta del Mai. 

Il Sovrano concede il benestare, ma il Cav. Boni, direttore delle Fabbriche Granducali, rallenta la pratica, perché afferma che se i gigliesi erano "nell'imminenza del disastro....benché il mare dal centro dell'isola non sia lontano che poco più di un miglio onde non manca totalmente né pesce né sale.... ", gli aiuti non sarebbero comunque arrivati in tempo.  

Il Boni vuole prendere un po'di tempo per soppesare il progetto che prevede anche la costruzione di una canonica, a suo parere inutile e che richiederebbe l'acquisto di un terreno del Francesco Mai. 

Nel frattempo i gigliesi muoiono di fame per la perdita del raccolto (vino, grano, legumi, fichi secchi, ecc.) e per la mancanza delle risorse alimentari provenienti dal mare. La pesca delle acciughe, praticata stagionalmente in passato su legni forestieri (in genere livornesi) era fin dal 1677 "decaduta"[5]".Questo fatto concorda con la mancanza di sale che pochi anni prima doveva essere in piccola parte ricavato in loco dal mare, ma soprattutto importato dall'Elba per la salatura dei pesci. 

Nel 1795 Alessandro Nini, architetto senese in cerca di commissioni, scrive in una memoria[6] al Cav. Boni che "Al Giglio il mare è abbondante di pesce ma pochissimi sono i paesani che vadino a pescare..." e questo perché il Porto non dispone di un molo sicuro dove tenere le imbarcazioni. 

Però la vera ragione è che gli isolani, assediati dai corsari turchi che battono le acque prospicienti l'isola in cerca di schiavi, non osavano prendere il mare senza protezione (vedi più avanti le affermazioni del Warren).

 

 

Sopravvivenza e speranza di vita.

 

 

 

Il grafico di Fig.3 mette a confronto le curve di sopravvivenza di tre periodi scelti (v, riquadri in Fig.2) come rappresentativi del 1600, 1700 e della discussa crisi demografica.

 

   

 

  

 

  

Fig. 3

  

 

L'asse verticale riporta il numero dei sopravvissuti su 1000 nati vivi nei periodi 1650-1690, 1735-1775 e 1795-1810 in funzione dell'età (1 secolo) suddivisa in intervalli di 10 anni.  La retta tratteggiata descrive il caso teorico in cui la sopravvivenza diminuisce linearmente con l'età.

I tre periodi sono caratterizzati da una alta mortalità infantile che raggiunge il massimo all'inizio del 1800 in cui solo il 55% dei nati raggiunge l'età di 10 anni, 15% in meno dei periodi precedenti. La curva relativa a questo periodo si mantiene anche più bassa di quella del 1600 fino all'età di 20 anni, ma dopo i 25 anni il numero dei sopravvissuti uguaglia quello del 1700. Per le età mature, le curve di sopravvivenza relative al 1700 e 1800 si avvicinano a quella teorica ad indicare un buon adattamento ecologico della popolazione. Il grafico di Fig.4 riporta il numero medio di anni da vivere in funzione dell'età. Verso la metà del 1600, un ragazzo di 10 anni poteva sperare di vivere fino a 42 anni e un sessantenne fino a 70. Negli altri due periodi, la speranza di vita è aumentata, specie per le età mature dove un sessantenne può avere avanti a sé ancora trenta anni di vita.

 

 

 

 

 Fig. 4

 

  

Longevità ecologica.

 

 

 

La Fig.5 riporta per intervalli decennali di età di 1000 sopravvissuti al termine dell'età infantile (da 0 a 10 anni) nei tre periodi presi in considerazione.

 

   

     

Fig. 5

 

 

La longevità ecologica cade nell'intervallo 70-80 nel '700 e '800, invece nella metà del '600 si ha un massimo di mortalità ben definito nell'intervallo da 20 a 30 anni.  

Interessante poi è il picco secondario tra i 40 e i 50, spostato di 10 anni nell'ultimo periodo a dimostrazione dell'incremento adattativo della popolazione umana all'ambiente. 

Tornando alla curva di Fig,2 si può infine notare che dopo la crisi ci sono voluti 25 anni (un'intera generazione) per riportare la popolazione gigliese ad un livello compatibile con la precedente crescita media tendenziale. 

Questa ripresa (17 abt/anno) fu possibile perché i gigliesi, dopo aver sventato con le armi l'ultimo attacco in massa dei pirati nel 1799, presero a sfruttare il mare senza troppi rischi in modo sistematico, accompagnandosi ad un gruppo di esperti pescatori provenienti da due potenti stati, il Regno di Napoli e la Repubblica di Genova.  

Verso la fine del 1700, infatti, data la pescosità delle acque, dieci famiglie di pescatori napoletani e genovesi (34 anime in tutto) si erano gradualmente stabilite presso il porto dell'isola. 

Nel 1840 la popolazione stimata dei "portolani" ammontava a circa 400 e quella dei gigliesi a 1400. Qualche gigliese da contadino era diventato pescatore a tempo pieno, altri esercitavano ora nuovi mestieri come il sarto, il calzolaio, la calzettaia, la fornaia e la macinatora.

 

 

 

La struttura per età della popolazione, 1678 e 1994.

 

 

  

Fig. 6

 

 

 

         

  

Fig. 7

 

 

 

Il primo grafico (Fig. 6) mostra una popolazione in via di sviluppo, con una proporzione elevata di giovani (il 50% tra 0 e 20), caratterizzata da una alta natalità e da una mortalità contenuta. Il grafico inoltre mostra un rapido abbassamento della popolazione passando alle età mature e anziane quando il numero delle nascite era inferiore.

 

Nel secondo grafico (fig. 7), che si riferisce al 1994, la situazione è opposta: la popolazione è stazionaria (crescita zero) con natalità in diminuzione e bassa mortalità e una alta percentuale di maturi e anziani (il 43% tra 40 e 70). E'il quadro di una popolazione in estinzione, quella che oggi, dopo tante eroiche vicissitudini, ha abbandonato la campagna e il mare come fonti di vita e si impigrisce e adotta tutte le insulsità che i continentali portano con il turismo della stagione estiva. 

Tuttavia, non sono pochi quelli che, giunti all'età della pensione, ritornano alla terra piantando vigne e al mare per la pesca, come un atto di fedeltà alla loro cultura e di amore verso la propria "madre".

  

 

Il sistema ecologico dell'Isola del Giglio.

 

 

 

 

Fig. 8

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo schema a blocchi di Fig.8 costituisce un modello del sistema ecologico dell'isola. Il blocco G rappresenta la popolazione umana che presa separatamente non è dissimile da qualsiasi altra; quello P, a sua volta, le popolazioni delle specie animali e vegetali facilmente rinnovabili nella composizione e varietà per le piccole dimensioni dell'isola e per la sua vicinanza con il continente[7]. 

In un sistema ecologico l'interazione (I) di queste componenti produce quasi sempre una popolazione adattata localmente detta ecotipo con proprietà emergenti differenti da quelle iniziali.. Questo adattamento può produrre delle razze, con o senza manifestazioni morfologiche marcate, a livello di acclimatazione fisiologica[8] se non propriamente genetico. 

Le frecce rappresentano i flussi di energia o di materiali, le doppie frecce le azioni reciproche tra il bioma e l'ambiente fisico e l'anello di controllo indica gli interventi operati dagli isolani per lo sviluppo della capacità portante del territorio. 

La curva di accrescimento in Fig.2 suggerisce che l'intera comunità, costituita da tutte le popolazioni in equilibrio coll'ambiente, richiede un numero di umani di circa 900 unità per essere immune da qualsiasi perturbazione esterna. 

I "portolani", avendo occupato una nicchia ecologica non competitiva hanno instaurato un giusto mutualismo con la popolazione gigliese che ha cosí potuto accrescersi con una velocità quasi quadrupla di quella presentata prima della crisi trofica.  

 

Se ora si prendono in considerazione gli indici di mortalità nell'arco di 4 secoli e precisamente negli intervalli di tempo 1640-80, 1740-80, 1840-80 e 1940-80, è possibile ottenere una prova scientifica dell'avvenuta formazione di un ecotipo umano. La Fig.10 è analoga alla Fig.5, ma riporta gli indici di mortalità e cioè i rapporti (quozienti) tra il numero di morti per classi decennali d'età e il numero totale dei decessi (fatti uguale a 100) avvenuti in periodi di 50 anni. La scelta di questi intervalli è stata condizionata dalla mancanza dei registri delle sepolture dal 1700 al 1735 nell'Archivio Parrocchiale.

 

 

 

Fig. 9

 

 

 

 

 

Dall'analisi della curva relativa all'intervallo 1940-1980 si desume che la longevità ecologica dei Gigliesi è rimasta immutata negli ultimi tre secoli, dopo un periodo di adattamento.  

Infatti, il tratto di curva che corrisponde alla massima frequenza di morti risulta qui deformata rispetto a quella teorica (gaussiana, tratteggiata nel grafico) per l'azione cumulativa di due fattori: uno rappresentato dalle risorse interne all' ecosistema e l'altro esterno dovuto all'apporto energetico a seguito dello sviluppo turistico.  

Per costruzione le aree comprese tra le curve e l'asse orizzontale racchiudono tutte 100 morti (normalizzazione) e quindi ad una diminuzione della mortalità infantile deve corrispondere un aumento del numero di individui che raggiungono la longevità massima. Questa è caratteristica e contraddistingue le varie specie e le razze viventi in condizioni normali. 

In definitiva si può affermare che, l'ecotipo umano localmente adattato, sta oggi perdendo quello stato naturale (identità fisica), controllato solo dalle condizioni ambientali.  

Tale perturbazione è stata qui definita "effetto turismo".

 

 

 

Caratteristiche comportamentali dei Gigliesi.

 

 

 

1671.

 

 

 

Il dott. Magi[9] nella sua relazione del 1671, cortigiana, incoerente e preconcetta, aveva riferito al Granduca che "le donne....portano spesso due gemelli" e che "i parentadi li fanno da ragazzi et il più delle volte se ne servono prima per molti anni, per vedere come li riescono alla prova....". 

Tuttavia, dai registri parrocchiali risulta che dal 1622 al 1671 su 926 parti quelli gemellari erano stati 14 (2%), i nati ante nuziali 4 su 183 matrimoni, i concepimenti prematrimoniali 24 (13%). Sempre nello stesso periodo l'età media dello sposo è di 28 anni e della sposa 23. 

Il dott. Magi invece di presentare i gigliesi come dei primitivi per natura e costumi presso la corte granducale, avrebbe dovuto mettere in evidenza la civiltà di questi isolani che nonostante la povertà, "Sono poveri tutti indifferentemente...né vi è chi possa vivere senza zappare, né uno puol aiutare l'altro, non sono niente industriosi e di qui nasce la loro miseria", si preoccupavano di far celebrare i matrimoni e si industriavano per racimolare i pochi soldi per il prete e per la dote delle figliole  "...ordinariamente è di scudi 150 e poche arrivano a 200........si dà primeriamente la casa, cioè una stanza, un macinello da grano, un pezzo di vigna, qualche pecora e capra e un asino..(lo stretto necessario)". 

L'inviato del Granduca appena sbarcato già sa tutto sul clima, sulla natura del terreno (...fertilissimo produce di tutto. ..", sui metodi di coltivazione adeguati per l'isola "...pochi usano dar concime per non durar fatigha a riccattarlo...[10]", sembra un politico dei nostri tempi, arrivando fino al punto di criticare la coltivazione di uva biancona che produce un vino "...debole e insipido... (palato fine da cortigiano)", ma che ha una maggiore resa in barili e, mischiata al mosto dell'ansonica, in soldi. 

I gigliesi dalla sua descrizione ne emergono come dei primitivi belli, robusti e rumorosi (forse dalle sue parti a ragione non ne aveva mai visti dei pari), ma con poco cervello "...fuori della zappa pochi pensano ad altro..." e infingardi. 

Tuttavia, questi isolani "... uomini scissa... di natura robusta grandi e bella gente... Le donne grandi quanto gli uomini e robuste ...hanno bel colorito.." (frutto della loro miseria per incapacità di industriarsi o per grazia divina?) hanno seguitato con il loro essenziale stile di vita, appreso dalla natura, aumentando di numero dai circa 650 del 1671 fino a raggiungere, 125 anni dopo, la massima capacità portante di 1200 unità: un gran successo demografico nonostante tutto! 

Può darsi che il Magi elargisse i suoi consigli per il comune interesse del Granduca e degli isolani, ma i gigliesi, come tuttora fanno, non lo prendevano di certo in considerazione, godendo solo dell'insolito spettacolo offerto da quel pomposo "grancetto" che sproloquiava sui fatti di casa loro e del quale soppesavano probabilmente solo l'aspetto fisico[11]. 

Quale credito sperava di ottenere presso i gigliesi se li esortava a piantare sui poggi dei castagni che in breve tempo avrebbero seccato le sorgenti[12], privando cosÍ la popolazione degli orti e dell'acqua potabile? 

Il dott. Magi con le limitate conoscenze scientifiche del suo tempo trovandosi al cospetto di un ecotipo umano costituito da esemplari dotati di armoniche e ragguardevoli proporzioni e di grande energia ("...quando discorrono amichevolmente lo fanno a voce tanto alta, che pare sempre si voglino sfegatare, contrastano continuamente, ma di rado vengono alle mani...") non avrebbe potuto capire che questi uomini erano tali perché vivevano e prosperavano in completa e consapevole armonia col proprio ambiente. La nascita e la morte sono per loro dei fatti naturali, inevitabili e al di fuori del tempo, come accade per tutti gli altri esseri viventi, piante e animali. 

Il dott. Magi, troppo occupato a servire il suo Principe, non si era soffermato neanche un istante per meditare sulla pacifica e giusta filosofia di vita di questi uomini sani, felici e liberi da tutte le effimere etichette e convenzioni sociali del loro secolo.

 

 

 

1749.

 

 

 

Nel 1749 il colonnello Odoardo Warren, direttore generale delle fortificazioni del granducato, parla dei gigliesi, che stavano per affrontare la grande carestia del 1795, come di gente molto coraggiosa, laboriosa, industriosa e di eccellenti marinai[13]. Il suo atteggiamento non è colonialistico e nervoso come quello del Magi, ma razionale e compassato come si addice ad un militare di estrazione anglosassone. 

Nota la presenza di molti giovani e suggerisce di far venire sull'isola un maestro perché questi abbiano l'opportunità di imparare a leggere, scrivere e far di conto e aggiunge "...una scienza maggiore li scuolgerebbe, essendo grandi dall'idea (dal punto di vista) del travaglio di terra e di mare nei quali è indispensabile di mantenerli.".  

Con questa frase il Warren, avvezzo per esperienza a giudicare gli uomini, mostra di aver compreso che questi isolani erano il prodotto di una lunga interazione uomo-ambiente e temeva che nuove idee estranee potessero sconvolgerne l'equilibrio a scapito della capacità di sopravvivenza. 

Il Warren nota anche lo stato d'animo degli isolani sotto la minaccia continua dei pirati: "....le corse che i Turchi fanno quasi senza interruzione attorno all'isola, donde spesso hanno rapito dell'abitanti, ispira loro dall'infanzia dell'orrore per quei Corsari, e li tiene in continuo spavento di essi; questa è la cagione che non v'è che una sola abitazione nell'isola, che si chiama il Castello. Esso è situato nel luogo il più eminente...è una specie di piccolo borgo recinto da muraglie... difese da torri tonde..."

 

 

 

1855.

 

 

 

Il Medico condotto Giuseppe Convetti in una relazione, pubblicata sulla "Gazzetta Medica Italiana" del 1855 scrive; "I Gigliesi sono tutti individui robustissimi ed offrono molti esempi di longevità. Il temperamento sanguigno è il predominante fra gli uomini. Il vitto usuale dei più consiste ordinariamente in legumi e sardine salate e in pesci delle qualità più povere e vili. Ed è cosa veramente da meravigliarsi, come possano essi godere, anzi godono una si perfetta salute, e tanto siano forti e vigorosi, non cibandosi che di poco pesce e legumi, e non usando che ben di rado di scarsa quantità di carne, che essendo tutta di bestie lanute e minute, riesce ben poco nutritiva." 

Dopo circa due secoli dal dott. Magi anche il dott. Convetti rimane impressionato in uguale modo e misura  dall'aspetto fisico e dalle caratteristiche comportamentali degli isolani.  

Verso la fine del '700 l'ecotipo isolano si era già formato, in pieno accordo con le conclusioni dedotte dallo studio della distribuzione degli indici di mortalità. 

Nell'estate del 1855 al Giglio imperversa il colera e il Convetti si lamenta che i malati non seguono le sue prescrizioni (palliativi a base di solfato di stricnina, olio di trementina, ecc.): "Sfortunatamente" scrive "le medichesse sono onnipotenti al Giglio....", ma in seguito si contraddice affermando che "...i casi sono stati assai meno frequenti, ed anzi sono cessati del tutto, appunto quando si abusava della frutta, e specie dell'uva e dei fichi.".  

Quindi l'organismo dell'ecotipo gigliese reagiva all'infezione positivamente con il solo aiuto dei prodotti della natura che non avevano a forti dosi effetti letali come le medicine in uso in quel tempo. 

Tuttavia, in qualche caso si esagera: "...due donne già pervenute a buon porto, per averle accollate (le medichesse), si trangugiarono una 5 mezzette di vino generosissimo, e l'altra 4, e cosÍ cessarono di vivere in stato di vera ebrietà[14]". 

In quanto al contagio il medico condotto lo addebita agli atti imprudenti di affezione da parte dei parenti e degli amici "....non essendosi trovato chi ne seppellisse il cadavere, (Camillo Luchini) si prestò per inumarlo,........lo abbracciò e lo baciò, e ne prese la berretta di lana che aveva in testa, servendosene quindi in proprio uso.", "Il Masserini (uomo di oltre 80 anni) volle vedere il cadavere dell'amico Luchini, e baciarlo. Pochi giorni dopo aveva anche lui il cholera, e perché fu veramente benigno ne campò in vita." 

Questo è uno degli episodi riportati dal medico condotto nella sua relazione[15] e illustra quanto sia forte il legame affettivo che tiene unita la comunità al di là delle passeggere beghe personali (....siamo tutti sulla stessa barca!). 

Tuttavia, il medico che è tutto impegnato a dimostrare la natura contagiosa e non epidemica del colera, dimentica quale altra causa del contagio il fatto, anche se lo riporta, che i Gigliesi usavano concimare gli orti con i propri escrementi che evacuavano liberamente nelle stalle attigue alle loro stanze[16]. 

Infine prende una cantonata definendo le acque potabili del Giglio impurissime e appena bevibili[17].

 

 

 

1998.

 

 

 

Le usanze civili ed essenziali, le credenze impregnate da una sorta di animismo pagano, i principi morali semplici e naturali, i rapporti sociali visceralmente vissuti in totale comunione, ma soggetti ad improvvise burrasche, l'istintivo attaccamento affettivo che a volte prevale su quello familiare, il discreto e assennato matriarcato, le questioni sociali demandate alle donne, lo scontato favoritismo tra la prole, il modo di comunicare schietto e brusco, sempre accompagnato da una caratteristica mimica, la notevole abilità di osservazione degli stati fisici ed emozionali, la profonda conoscenza delle risorse naturali dell'isola, il fisico perfettamente adattato ad un lavoro pesante, la continua ricerca dell'approvazione degli anziani, il culto per i fatti e gli aneddoti del passato, le argute burle di sapore medioevale, il particolare idioma ricco di antiche parole toscane e soprattutto l'atavica voglia di pace e di libertà fanno di questa popolazione, ancora superficialmente scalfita dal turismo, un ben caratterizzato gruppo etnico.  

Per dirlo alla maniera locale "sono tutti della medesima porga! [18]".

 

 

 

L'ecotipo gigliese

 

 

 

 Le osservazioni riportate dal Magi sull'aspetto fisico e la personalità dei Gigliesi, verso la fine del '600, sono molto utili per la caratterizzazione somatica e comportamentale dell' ecotipo isolano. 

Nel 1671 il Magi sembra tanto impressionato dalle dimensioni corporee degli isolani, sia maschi che femmine, da ripeterlo più volte nel suo scritto e inoltre nota la loro istintiva impetuosità nel far valere contro gli altri le proprie ragioni; carattere che nel 1749 il colonnello Warren, quasi un secolo dopo, definisce grande coraggio[19]. 

Analogamente nel 1856 il medico condotto Convetti parla di gente robustissima, di grande forza, di ottima salute, di carattere sanguigno e di necessità alimentari minime basate soprattutto su pochi pesci salati, fichi secchi e abbondante vino corposo. 

Nel continente a quei tempi era certamente molto raro se non impossibile trovare uomini simili e con un cosÍ alto rendimento metabolico. 

Prima di tutto è necessario fare una considerazione sulla prolificità degli isolani.

 

  

 

 

 

Fig. 10

 

 

L'asse verticale del diagramma in Fig.10 riporta in cifre l'accumulo dei nati per decenni iniziando dal 1640 fino al 1699 compreso, per un totale di 50 anni. 

Il numero dei nati è considerevole e ammonta a 1281 con una media decennale di 210 unità. 

Si è visto precedentemente che in questo periodo l'ecotipo era ancora in fase di completamento, poiché non esiste una longevità ben definita. 

Durante questo intervallo di tempo e nei precedenti 300 anni si può ammettere la nascita casuale di alcuni particolari soggetti con caratteristiche fisiologiche e somatiche più favorevoli alla sopravvivenza rispetto ad altri. 

L'ambiente dell'isola, con l'azione selettiva del clima e della scarsità di risorse alimentari, permetterà di raggiungere l'età della riproduzione solo agli individui più adatti a lavorare con un minimo apporto energetico. 

Perché, allora, sono stati selezionati anche quelli grandi e grossi? 

In prima analisi uno si aspetterebbe degli individui piccoli, agili e pieni di forza nervosa, in grado di vivere con poco e muoversi sul territorio scosceso senza eccessivo dispendio di energia. 

Per rispondere a questo quesito è necessario osservare attentamente il grafico di Fig.11.

 

   

  

 

Fig. 11

 

  

L'azione selettiva si esplica soprattutto nell'intervallo di età 1-9 anni, dove cade la massima mortalità (21%). 

Bisogna, quindi, ammettere la presenza di un altro fattore selettivo: la competizione tra i più giovani. 

Questi in genere erano affidati ad una donna anziana con il compito di sorvegliare un certo numero di bambini e di pensare al pasto o in qualche caso alla nonna perché i genitori, maschi e femmine, dovevano recarsi al lavoro in campagna per far ritorno la sera. 

Normalmente i ragazzi dai cinque ai dieci anni erano portati nei campi per dare una mano e per apprendere il mestiere. 

La selezione competitiva doveva, quindi, avvenire in una fascia d'età inferiore.  

Per risolvere questo problema è stato costruito il grafico di Fig.12 per i periodi 1640-99, 1740-99 e 1840-99.

 

   

 

 

Fig. 12

 

 

Le tre curve rappresentano la distribuzione degli indici di mortalità di 100 decessi relativi ai suddetti periodi per classi di età triennali. 

Nell'intervallo di età 1-3 fra il 1640 e il 1699, il picco relativo alla selezione competitiva è ben individuabile perché la mortalità dei minori di 1 anno risulta più bassa di circa 15 punti e poi rappresenta anche il massimo statistico di longevità ecologica del periodo. 

I ragazzi di questa classe d'età che riescono ad affermare la propria supremazia sugli altri saranno quelli più grossi, più forti, e più prepotenti e avranno cosÍ una maggiore probabilità di passare attraverso la barriera alimentare e raggiungere l'età matura. 

Queste considerazioni forniscono una spiegazione scientifica dei riscontrati caratteri somatici e comportamentali dell'ecotipo isolano. 

Dalla Fig.14, si nota che la mortalità infantile sale con l' aumento della popolazione e questo perché esso causa un maggiore affollamento nelle case del paese. 

Il dott. Convetti scrive in proposito "Più che 2/3 delle case non consistono che di una, o al più due stanzucce basse e poco aerate. Non è raro che una famiglia composta di 6 ed anche 8 individui stia solo in una stanza ove ha il focolare, la macina per il grano e tutti gli attrezzi indispensabili per una famiglia sia pure quanto vogliasi povera. E siccome vi sono anche degli animali è un miracolo se non vi cadono asfittici......" e inoltre "In quanto all'aumento della popolazione, esso sarebbe ad ogni anno assai maggiore, se un gran numero di bambini non perissero nella prima età, vittime di usi fatalissimi sul modo di nutrirli. E' per questo che i registri mortuari del Giglio comprendono un numero assai maggiore di infanti, che in qualsivoglia altro paese". 

Quest'ultima osservazione è la conseguenza del meccanismo di autoregolazione del sistema ecologico (feed-back). 

La povertà delle famiglie preclude qualsiasi dieta particolare: i genitori, affranti dalle fatiche quotidiane, al loro ritorno a casa cercano di soddisfare l'insistente richiesta di cibo da parte dei minori con quello che trovano (in genere fichi secchi prodotti in abbondanza dal territorio e occasionalmente del latte di capra) 

Scrive il medico "Dai fichi seccati traggono un partito grandissimo, giacché nell'inverno servono loro come di pane. Diverse osservazione che non hanno qui luogo (la relazione aveva come tema il colera), mi fanno ritenere che dall'uso di quelli debbasi, in gran parte, la incredibile produzione de' vermi di ogni specie, da cui sono complicate le malattie tutte...".

 

 

 

 

L'effetto del boom economico sulla longevità.

 

   

 

 

Fig. 13

 

 

 

 

 

La Fig.13 riporta la distribuzione degli indici di mortalità per classi di età decennali ad iniziare dal 1930 fino alla fine del 1979. 

I grafici sono stato limitati alla parte finale delle età per mettere in evidenza il punto di maggiore addensamento dei decessi (picco) che indica, com'è stato detto in precedenza, la durata effettiva e oggettiva della vita. 

Dato che il calcolo delle mortalità si riferisce a 100 decessi (indici), ad una diminuzione delle morti precoci, dovute al parto, a fattori professionali o a eventi storici, corrisponde necessariamente un aumento della percentuale degli individui che raggiungono il limite di longevità. 

Nel primo periodo, 1930-39, la curva, molto simile ad una gaussiana teorica, indica che il 40% degli abitanti moriva tra i 70 e i 79 anni. 

Nel decennio successivo 1940-49 si nota un allargamento del picco di longevità verso età superiori, con una mortalità del 32% nell'intervallo 70-79 e del 25% tra gli 80 e gli 89 anni. 

La curva relativa al 1950-59, che coincide con l'inizio effettivo del fenomeno del turismo, segna in generale un aumento di 10 anni della longevità, con una percentuale del 38%, ma quella della mortalità corrispondente ai 70-79 è diminuita di poco. 

Dopo un salto di 10 anni, 1970-79, l'unica variazione degna di nota è un aumento. di più di 10 punti, rispetto al periodo precedente, della percentuale dei decessi nell'intervallo 60-69. 

Questo fatto, piuttosto allarmante, potrebbe essere la conseguenza del consumismo, che porta ad un'eccessiva alimentazione con prodotti industriali, a stress, e ad una diminuzione dell'attività fisica per l'abbandono progressivo della coltivazione delle vigne e degli orti e dell'attività di pesca. 

Lo stato delle acque potabili, controllato periodicamente dal Comune, è ancora ottimo, ma è aumentato il consumo delle acque imbottigliate sia per pigrizia sia per moda introdotta dal continente, dove c'è davvero la necessità. 

Le acque del mare, a parte quelle zone sottoposte ai reflui fognari, che presentano deboli tracce di inquinanti, non sembrano sensibilmente influenzate né dall'uso di detersivi e né dalla dispersione di oli solari dovuta principalmente al passaggio estivo dei visitatori. 

La qualità dell'aria non desta preoccupazioni perché il suo contenuto di ossigeno è essenzialmente regolato dalla microflora marina. 

L'acidità delle piogge, costantemente controllata con una stazione privata, segna valori pari a quelli dell'Argentario e fino ad oggi i suoi effetti sulla vegetazione sono poco evidenti. 

Sarebbe quindi augurabile che i Gigliesi riprendessero la produzione di vino e di ortaggi e l'attività di pesca anche ad uso solo personale, per una vita e un'alimentazione più sana

 

 

 

Emigrazione e flusso genico. 

 

  

 

 

Fig. 14

 

 

 

 

 

Nei periodi 1650-1680 e 1750-1825 c'è una certa immigrazione. Si formano nuove famiglie, alcune delle quali lasciano l'isola poco dopo la nascita dei figli. 

Nei detti intervalli la curva stimata rimane più bassa di quella ottenuta dai censimenti.  

Quindi, la curva stimata diventa più alta a cavallo delle guerre di indipendenza per ritornare prossima alla censita nel 1895. 

Fenomeno analogo si riscontra dopo la prima e la seconda guerra mondiale. 

Invogliati dalle prospettive ventilate nei dopoguerra, alcuni individui disadattati, per tradizione definiti vagabondi o leggere, emigrano in cerca di un nuovo modo di vivere (novelty seeking[20]).  

Una stima di quest'emigrazione potrebbe essere ricavata dalla differenza delle aree delimitate dalle due curve, dall'ascissa 1850 - 1950 e dalle corrispondenti ordinate del diagramma 14.  

Calcolando, quindi, l'area tratteggiata del grafico, nell'ipotesi di continuità del fenomeno, è stato ottenuta un'emigrazione totale pari al 15% della popolazione stimata, in due cinquantenni dal 1850 al 1950. 

Questo valore piuttosto modesto è indicativo di una popolazione antica e ben adattata. 

Vale a dire, costituita da un'estesa maggioranza d'individui adulti che trovano piena soddisfazione e appagamento nel lavorare la terra, nel forgiare attrezzi nella fucina, nel pascolare le capre, nel cavare, con mazzolo e scalpello, oggetti utili dal granito, nella caccia e nella pesca, nel calore della famiglia e degli amici, nelle interminabili discussioni nelle cantine e nel risvegliarsi ogni giorno in una meravigliosa casa comune. 

In definitiva, l'emigrazione ha l'effetto di aumentare la percentuale di distribuzione dell'ecotipo isolano nella popolazione stessa e costituisce quindi un rapido meccanismo di selezione o vaglio dei più adatti alle condizioni ambientali. 

Questo processo è conosciuto con il termine di gene flow (flusso genico), anche se nel caso di un'isola sarebbe più adeguato chiamarlo gene drain (perdita di varietà genetiche). 

Lo studio delle frequenze geniche e delle modalità di distribuzione dei geni nelle popolazioni naturali è il compito della cosÍ detta "Genetica di Popolazione".

 

 

 

COEG

Isola del Giglio, 4 novembre 2003

 

 

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[1]L'Archivio Parrocchiale per il presente lavoro è stato computerizzato in un database per un totale di 15.033 schede.

[2]Archivio Storico Comunale, dal registro N.4 (Deliberazioni 1672-1683).

[3]In mancanza di dati attendibili, sono stati presi in considerazione tutti i minori di 10.

[4]"Osservazioni economiche sull'Isola del Giglio", Atti della Soc. dei Georgofili, s.I, vol.V. Firenze pp. 195-208.

[5]Archivio di Stato di Firenze, affari prima del 1788, 812, inserto: Governo civile e militare dell'Isola del Giglio.

[6]Archivio di Stato di Firenze, Scrittoio delle Fabbriche Granducali, 2017, 216, 3.

[7] E.P. Odum, Basi di Ecologia, pg. 421, Editore Piccin 1987.

[8]E.P. Odum, Basi di Ecologia, pg. 204, Editore Piccin 1987.

[9]Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 1801, 18.

[10]...e cosÍ i paesani morirono tutti appestati dalle esalazioni delle stalle che erano attigue alle loro abitazioni!

[11] Il fenomeno del gigantismo si verifica in quelle comunità naturali che vivono isolate. Vedi più avanti per una discussione sull'argomento.

[12]Sotto i sette poggi della parte granitica dell'isola si trovano le falde freatiche che alimentano numerose sorgenti, molte delle quali perenni.

[13]O. Warren, "Raccolta di piante delle principali città e fortezze del Granducato di Toscana", Firenze, 1749, pp. 253-255

[14]Una mezzetta equivale ad un boccale, 5 boccali saranno circa 2 litri e mezzo.

[15]G. Convetti, "Gazzetta Medica Italiana", Anno VIII, Serie III, Tomo II, 1856.

[16]I lavori per le fognature e per l'acqua corrente nel Paese iniziarono verso il 1965.

[17]Ma che davano da bere al povero medico! Era uno scherzo boccaccesco dei paesani?

[18]Porga in italiano moderno, semenzaio.

[19]...e ciò è tipicamente britannico.

[20] A. Camperio Ciani et alter, "The effect of gene flow on a rapid adaptive evolution of personality in small islands", Università di Padova, 2001. Comunicazione personale.


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